giovedì 7 novembre 2024

Viaggio ai limiti della mia etnìa...parte II°

Tirana

08:10 domenica 3 Novembre 2024.

Sono seduto in una sala d’attesa di un hotel, a circa mezz’ora a piedi dal centro città. È il penultimo mese dell’anno ed io, mi sento come un qualsiasi turista italiano lì, alla ricerca di cose affascinanti da fotografare ed emozioni da vivere. La sveglia biologica, ahimè, mi ha impedito di riposare ancora un po', così, trepidante, aspetto l’orario giusto per potermi incamminare e riprendere il viaggio di ritorno. È una sala d’attesa accogliente quella dove sono accomodato, dal tipico aspetto vintage; quello che ti fa immaginare che il tempo si sia fermato chissà quando, ma che scorre comunque rapido, se per un attimo mi affaccio fuori e il mio sguardo, va oltre il lunghissimo viale di aceri che costeggia il fiume. È autunno ed anche se il clima è piacevolmente mite, i colori degli alberi non riescono a mentire. La strada lì fuori è “trafficatissima” con auto che passano veloci nel transito mattutino (anche di domenica), ma che vedo fermarsi precise al rosso del semaforo. D’improvviso la porta d’ingresso si apre, una coppia di ragazzi va via salutando, e in un baleno, il frastuono di quello che c’è all'esterno mi inonda, mischiandosi al rumore gentile e silenzioso del luogo dove mi trovo. Dò un’ultima occhiata all’orologio e decido che il tempo di partire è giunto anche per me. Mi fermo un attimo a pensare a ciò che sto vivendo, così, per il semplice gusto di osservarmi da un altro punto di vista e distaccarmi momentaneamente con la mente. Ma chi sono davvero io? Perché mi trovo lì? Cosa ci faccio con quella ventiquattrore sulla spalla? Allora penso a ieri sera quando ho avuto il piacere e l’orgoglio incomparabile, di raccontare una storia scritta in un libro, discutendo sui dialetti e sugli usi antichi di un tempo che non c’è più. Sento il corpo vibrare al sol pensiero. Ma ieri sera, in quello stesso posto, dialogavo tra le persone, nella loro lingua, e per un attimo mi sono sentito come se fossi a casa mia, nel mio amato paesello. Ieri, mentre passeggiavo per quelle stesse strade, ascoltavo le persone parlare tra loro e ne capivo il significato, avendo la stupenda sensazione di essere tornato nella mia gjitonìa, quella dove sono cresciuto. Non cè stata un’insegna di un negozio che io non abbia letto, e che non mi abbia riportato alla mia terra e alla mia gente. Ho chiesto informazioni ad un usciere di un palazzo altissimo e l’ho ringraziato benevolmente per avermi indicato la via giusta da seguire; ho rifiutato un’offerta a chi mi voleva vendere chissà cosa per strada, cercando di non sembrare scortese; ho ordinato da mangiare leggendo tranquillamente quel che c’era scritto sul menù, evitando così di ricevere cibi sgradevoli. Cose normalissime per un viaggiatore! Sicuramente! Ma io quelle cose l’ho trasformate in emozioni uniche che non provavo da un po'...perchè l’ho avute esattamente lì, in quella terra così vicina sentimentalmente e a volte così lontana. E poi quella musica di strada...ah! La sento ancora scorrere addosso e mi commuovo mentre comprendo la ricchezza di ciò che possiedo, affinché possa coltivarla e non abbandanarla mai. Mi fermo ancora un attimo a pensare e sorrido tra me e me. Saluto la signora dell’hotel e vado via. Appena varco l’ingresso, sento l’aria della strada solleticarmi immediatamente le narici. Sento di andar via colmo di emozioni, ma con un pizzico di maliconia, quella che puntalmente si presenta ad ogni saluto. Troppo veloce questo tempo, troppo breve questo viaggio. Cos’è dunque questa mia condizione emotiva? Così tremendamente familiare e sbalorditiva da non farmi intendere dove mi trovo davvero. Non sono quindi uno straniero, un estraneo? Ma io sono un italiano caspita! Cos’è dunque questa mia situazione personale? Così ammaliante da farmi immediatamente pensare ad un altro viaggio ancora. Io sono Arbëresh, ecco! Tutto il resto è la terra da dove discende il mio sangue. È difficile da spiegare, anche per uno come me, che di parole ne ha tante! Ma le parole scorrono veloci come le auto nel traffico di questa mattina...le belle emozioni restano per sempre.


 








 

venerdì 21 giugno 2024

Mi piace guardare fuori

Mi piace guardare fuori mentre piove. Osservare l’attimo in cui le gocce si schiantano a terra e pian piano, s’impossessano dello spazio circostante. 

Mi piace quel profumo di umido, quella sensazione di leggera frescura, quel brivido leggero e veloce che arriva all’improvviso. 

Mi piace guardare i fulmini, le loro infinite e struggenti forme, nel bagliore intenso del loro apparire. Ogni volta a fantasticare sul loro impatto ed ogni volta ad attendere ansioso il prossimo fascio di luce che, inaspettatamente apparirà e diverso sarà. 

Mi piace guardare il tramonto, con le sue luci calde e lontane. I suoi colori intensi, che pian piano si spengono e vanno a finire altrove. 

Mi piace quell’attimo dopo quando il profilo delle montagne si delinea perfettamente tra il giorno e la notte ed il caldo, repentinamente, cede il posto al freddo. 

Mi piace osservare le nuvole, il loro finto e lento spostamento, la loro continua mutazione. 

Mi piace vederle tingersi di colori astratti e fugaci per scomparire un attimo dopo, appena il mio sguardo non le segue più. Le nuvole sono attimi colorati nel cielo blu.

Mi piace guardare le onde del mare, il loro interminabile moto, la loro tenacia nel flagellare le rocce e la costa intera. Immaginarne l’inizio e vederne finalmente l’arrivo. 

Mi piace camminare nel bosco. Sentire l’odore dei grandi alberi, osservarli ed avvertire il loro sguardo su di me. Avere l'adrenalina di attraversare un luogo magico, dove tutto è regolato da leggi non scritte e dove, il risveglio e il riposo, sono vita pulsante. 

Mi piace quel profumo di nuova stagione, che inebria il mio naso ed il mio viso, che mi riporta a ricordi lontani e alla mia giovinezza. Ogni stagione ha il suo colore, ogni stagione ha il suo sapore. 

Mi piace vivere tutti gli attimi della mia vita, leggera e al contempo pregna di pensieri. Ascoltare, osservare, condividere ed apprezzare. Senza un lamento ma sempre ringraziando. 

Perché tutto ciò che ho è di più, di ciò che dovrei avere...la vita stessa è già un dono!





mercoledì 14 febbraio 2024

Una scala per il cielo

Sono un sognatore! E penso che, se c’è qualcosa che non vorrò mai smettere di fare, è esserlo. Ma io non sogno grandi cose, a me basta avere una casetta in campagna, un vigneto da coltivare e veder crescere i frutti del mio lavoro. Mi basta sentire il calore di un abbraccio e vedere il sorriso di un bambino, stagliarsi nel verde del paesaggio che ci circonda. Fondamentalmente ho già tutto per stare bene...ho la forza di volontà! Ho la serenità di pensare, di poter fare qualcosa, semplicemente. Sognare, fa bene al corpo e non soltanto alla mente. Sognare, ci fa muovere nell’immaginario spazio intorno a noi, e poco importa se non dovessimo realizzarli tutti, quei sogni. L’importante è tenerli un passo avanti, e seguirli, come si insegue una cosa bella, un buon profumo, un obiettivo che ci rende vivi. Alcuni sogni però, si realizzano quando è deciso il loro tempo, e i sogni di chi va in montagna, sono fatti della montagna stessa. Devo ammettere di averne realizzati tanti e, seppur modesti, li porto sempre nel mio cuore, come pagine importanti della mia vita. Con loro sono cresciuto, ho pianto e ho riso. Loro mi hanno schiaffeggiato e al contempo mi hanno coccolato. Penso di aver imparato a vivere il mio tempo e ad osservare con calma, il lento scorrere delle stagioni, della mia esistenza. Ogni tanto mi volto indietro e sembra, che in quell’illusorio avvicendarsi, di ricordi e vita passata, siano trascorsi mille anni o chissà. Poi guardo le mie mani e loro mi riportano al tempo giusto e a ciò che dovrò fare. Allora guardo le mie montagne ed inizio a sognare.
La Manfriana Ovest, già da molto tempo, era più che una visione e più volte, aveva rapito il mio sguardo, stimolando la mia fantasia. Così, un giorno di un inverno ormai passato, decidiamo di andare lì, dove quelle “due punte”, di quella immensa montagna incontrano il cielo, e dove, quei famosi sogni, diventano reali. La neve dura e compatta ci fa avanzare veloci e l’intera cresta dell’infinito sopra di noi, ci fa rivivere ricordi indelebili, di una nottata speciale trascorsa lassù. Cammino con lo sguardo su di essa, ancora un attimo, giusto quel tanto, in modo da nutrirmi e saziarmi, di quella carica emotiva prima di una grande salita; di lì a poco mi sarebbe servita davvero!

Dal bosco dei 7 faggi(Imma lo chiama il cane) comincia la salita vera. L’inizio del canalone è davanti a noi. Per un attimo ci fermiamo. Il rumore del nascere del vento ci trasporta con se, per esserne avvolti un attimo dopo. Circondati da quello stesso vento, ci sentiamo per un istante, storditi, ma Imma rompe gli indugi e avanza sulla neve ancora ghiacciata. Il mio sguardo però è rapito da un canale sulla sinistra, che, come una rampa, sale fino al cielo. Lei decide di prenderne un altro sulla destra. Ci ritroviamo così, soli con noi stessi, ad affrontare la nostra personale ascesa. Strano direi! Non ci era successo altre volte di dividerci, ma forse è giusto così. Ognuno di noi deve confrontarsi con il proprio io, confidandogli le proprie inquietudini e le proprie paure. Forse per trarne più forza o, semplicemente, per liberarsi di un peso che non ci appartiene. Sto vivendo un battito della mia vita che sembra un’eternità. Salgo, affondando i ramponi sul pendìo, che, a poco a poco, diventa sempre più ripido. Mi volto più volte. Non devo avere timore! Quell’ascesa è tutto ciò che desideravo. Sono dentro il canale, il pendìo si attenua quasi fosse una piazzola. Ma su quella via, che tutto sommato non sembrava così ripida, mi sento improvvisamente solo. Davanti a me, un muro inanimato di neve e ghiaccio, mi sbarra la strada. Dopo un paio di passi sento la pendenza aumentare sotto di me. Affondo su una neve molliccia. Impreco. Sono completamente isolato da tutto, e da lì, non posso assolutamente girami. Poi la mia mano, accompagnata da una forza istintiva, afferra alcune rocce in alto a sinistra. Le mie dita sentono il ruvido della pietra calcarea. È quella la mia via d’uscita. Affrontare la cornice di fronte sarebbe una pazzia. Le punte dei ramponi graffiano e si aggrappano su parti di roccia minuscole. Sento un urlo…Imma ce la fatta! Io sono ancora in quell’imbuto a divincolarmi, come mai in vita mia. Il movimento è preciso…niente distrazioni. Guardo un’ultima volta in basso. Pianto la piccozza sopra la cornice e passo sull’ultimo gradino. Sono fuori! Mi butto a terra sorridendo e silenziosamente mi libero dell’adrenalina accumulata, sentendo la frenesia del mio corpo. Guardo il cielo di un blu cobalto, guardo il Dolcedorme poco più in là, guardo Imma che è già sulla cima ad aspettarmi e soprattutto guardo da dove son salito. Lei mi viene incontro.

Sogno realizzato?” mi chiede.

Si, direi proprio di si.”

La vita và avanti proprio come il cammino di un uomo verso le montagne che lo aspettano. Per esaudire i sogni invece, a volte, bisogna affrontare strade ripide come una “scala che conduce al cielo”.







domenica 9 luglio 2023

Pensieri folli...in solitaria

A volte si sente l’estremo bisogno di cercarsi, di scoprire sé stessi e magari, per uno come me e altri folli in giro per il pianeta, la montagna può dar sfogo a tutto questo. Avevo l’esigenza di starmene un po’ a contatto con il mio spirito e di sentirne la sua vera essenza. Così, per il gusto di guardare ancora una volta la mia vita, riempirsi man mano, di ciò che ha davvero bisogno. Come un ragazzino, alla ricerca della sua grande avventura, decido di partire all’ultimo momento e, durante il viaggio in macchina, vengo pervaso da una sorta di autoconvinzione che la vita, la mia vita è fatta così: piena di emozioni forti che spesso arrivano all’improvviso, che mi fanno sussultare e mi fanno sorridere a quello che verrà. E allora succede che parto, a volte senza una meta precisa e senza programmi ma, con l’immensa voglia di assaporare intensamente, ogni attimo di quel viaggio; piccolo o grande che sia non ha importanza, l’importante è che si parti e che ci sia una bella musica di sottofondo ad accompagnarmi! Per sognare, per illudermi piacevolmente e sentirmi in un mondo surreale, nel quale io stesso, scrivo le gesta del protagonista. Per vivere e basta...semplicemente!

Così m’incammino serenamente e mi addentro nel bosco. Sembro un bambino eccitato, di fronte alla sua prima esperienza e, il fiato corto e pesante dell’inizio, si attenua sempre più, fino a divenire ritmico e lento. L’adrenalina, nell’attraversare quel tratto è tanta e, per l’ennesima volta, ho quella incredibile sensazione di sentirmi osservato. Sembra quasi che tutti stiano guardando me...un giovane uomo che è venuto a fargli visita. Ma stranamente non sento paura, anzi, mi sento accettato da quel mondo silenzioso e magico. Mi fermo. Faccio una sosta e gusto qualche zucchero per riprendermi. Le barrette energetiche che compravo un tempo, sono state sostituite da fichi secchi e qualche noce della mia campagna. Anche il cibo si è ridimensionato alla mia vera vita e la mia esistenza, è diventata più genuina. Sorrido. Il bosco mi sovrasta e la salita, si fa sempre più ripida. Ad un tratto mi volto e, di fronte a me, c’è lo spettacolo che avevo in mente di voler osservare. Penso che forse sto salendo verso il cielo. Ogni volta, in quel preciso punto, mi fermo e giro il mio sguardo verso l’infinito spazio che mi circonda. Immagino come se fossi arrivato lì ad occhi chiusi; come se una forza misteriosa mi avesse condotto in quel punto preciso, ad ammirare la meraviglia. Percorro l’ultimo tratto, con il calore in corpo e i brividi sulla pelle, attratto da qualcosa di straordinario, che non riesco a spiegare con le semplici parole di un uomo. Sono a casa. Cammino con il vento gelido che viene da ponente e che mi taglia il viso. Così, immerso nelle nubi vado avanti. Arrivo su quella cima, dove il cielo si tocca con un dito e dove i miei sogni, possono realizzarsi. Grido di gioia e sorrido, per aver trovato ad aspettarmi un piccolo cumulo di neve! In quello scenario che solo nelle più belle favole si può immaginare, ho il tempo di dedicare i miei pensieri a chi non c’è più e, in una corsa libera e selvaggia, percorro tutta la cresta Nord-Est, scendendo fino a valle. Corro libero nel mio mondo e sento il vento della montagna, che mi accarezza alla sua maniera. Mi lascio accompagnare da una sorta di musica frenetica che non mi fa più pensare a nulla, mentre con la mente, ripercorro ancora e ancora, quel tratto di cresta appena attraversato. Il mio cuore vibra. Cammino sulla neve per quasi l’intero tratto ed ho costantemente, la sensazione palpabile, della presenza di qualcuno al mio fianco. Qualche lupo ha preceduto il mio tragitto e il suo odore si sente benissimo. Caspita se si sente! Respiro intensamente quell’aroma e mi accorgo, che qualcosa in me ha preso vigore. Mi sento parte di quel che mi circonda e l’odore, il forte odore di quel bosco umido e di selvatico, mi pervade il corpo, tanto da farmi dimenticare i profumi di casa mia.

Sazio di emozioni torno a casa. La mia vita ha avuto ciò di cui aveva bisogno ma volte penso, che bisogna essere davvero un po’ folli per saper vivere!



lunedì 13 marzo 2023

Kalimère - i canti della passione

Qualcosa che non c'entri con la montagna deve pur esserci in questo blog ed è per questo, che vorrei parlarvi di alcuni canti, tra i più antichi, dell'etnia Arbёreshё nel periodo Pasquale. Si chiamano Kalimère (si legge Caglimère) e molti di questi, sono stati scritti centinaia di anni fa, da un sacerdode e poeta di San Giorgio Albanese: Giulio Variboba (1724-1788). Kalimera é una parola che deriva dal greco, di cui molti, ne conoscono il significato: buon giorno. Quindi, cantare la Kalimèra vuol dire annunciare un buon giorno, una buona novella. Non è sempre così però! Perchè molti di questi canti, sono davvero tristi e narrano la passione, la morte di Gesù Cristo, nonchè la sofferenza della Madonna nel momento della via Crucis. Ad ogni modo sono stati scritti e tramandati, per divulgare la religiosità anche in maniera diversa, in tempi, dove tante cose erano proibite. Quand'ero bambino le ascoltavo cantare da mia nonna Angiolina, quando, assieme alle sue "commari", si riuniva davanti al caminetto di casa sua o, in forma più solenne, in chiesa dopo la novena. Durante la processione del Venerdì Santo poi, venivano cantate a squarciagola e il corteo che stava dietro, ne era completamente assorto. Erano canti struggenti, che spesso, ci incutevano un sentimento di tristezza e una sorta di disagio emotivo, tale da farci fuggire da quei "lamenti", che si sentivano fin fuori la piazza. Ma quello era un modo per cantare, anche "quando non si poteva cantare". Nel periodo della quaresima infatti, tante cerimonie o feste in casa non si potevano fare e per giunta, non si avevano tutte le comodità che si hanno oggi. Il gusto di potersi riunire davanti ad un focolare, risultava essere la forma più semplice per poter condividere la devozione del momento, fatta anche di canti antichi, tramandati oralmente da generazione in generazione. Quelle litanie, hanno impregnato i miei ricordi in modo indelebile e soltanto molto tempo più tardi, ho iniziato a valorizzarle davvero. Il piacere nel cantarle, mi ha fatto scoprire quel gusto misterioso, di lasciarsi trasportare da una melodia così struggente ed altrettanto affascinante. E forse si, ho capito davvero, il perché di quel ritrovarsi e cantare assieme quando tante cose non si potevano fare. Oggi voglio farvele ascoltare, riprendendo alcune registrazioni fatte così per caso, mentre le provavamo assieme agli amici del gruppo canoro di Firmo. Oggi come quella sera è sempre un'emozione poterle riviverle...per far si, che si tramandino di generazione in generazione. Buon ascolto!

Questa è una piccola parte di quella che si chiama:

 Tёnjёtin ndaj dit - Nel giorno del giovedi




giovedì 16 febbraio 2023

Passi

 
Quando i “diavoli ballavano sul Pollino”, in un giorno di tempesta e di scalata invernale, il mio spirito si liberava nel vento e in quella neve spietata, che accecava i miei occhi. I miei sensi più profondi venivano rapiti da una forza misteriosa e invisibile ed io, mi sentivo piccolo ed incapace contro la forza della natura. Avanzavo a fatica, spinto dal solo istinto di portare in alto il mio corpo; sopraffatto e sfinito, da tutta quella imprevedibile energia intorno.

                                             

Sento che quasi niente è cambiato in me oggi, ma quando torno lassù, ho la sensazione di rivedere ancora quel ragazzo impaurito. Ogni volta lo prendo per mano e lo accompagno, nell’ascesa a quella stupenda montagna. Gli sussurro, nel punto più vicino alla sua anima, che tutto andrà bene. Che sarà la scalata più bella della sua vita. Che le emozioni che proverà, saranno indimenticabili ed uniche, ma che mai lo sazieranno, perché magnifico è ciò che sta facendo. Torno in quei posti, a rivivere il piacere estremo nel salire su quella cima che, dal pianoro sottostante, ti si staglia di fronte come un gigante che sfiora il cielo; orgogliosa ed elegante, che si mostra nel suo lato più impervio...nel suo lato più suggestivo. Quella figura ti ammalia, ti attrae inesorabilmente facendoti immaginare la sua ascesa. Poi il gigante scompare, accrescendo oltremodo in te, il desiderio di salirci. Vorresti solcare le sue vene nascoste per attingere ancora una volta alla sua linfa e poter così respirare, nel silenzio dell’inverno, quell’aria magica che, stranamente, ti infonde pace. 

                                            

L’aria è fredda. Tutto intorno a te è glaciale, ma la voglia di salire è tanta e non aspetti che, quell’attimo tanto atteso, arrivi da un momento all’altro.Il fiato esce denso dalla tua bocca e tu sei lì, semplicemente a godere, del gusto assoluto di scalare una montagna. In quel “bisogno di danzare” e di ascoltare quella musica così particolare e così inebriante.

Musica fatta di passi. Passi che raggiungono l’acuto piacere quando la terra si fa dura, si fa di ghiaccio. Passi impalpabili che lasciano quasi intatto il manto, come quei sogni, che non turbano le tenebre, ma le impregnano della loro magia. Passi che striano la neve compatta, incidendola per trattenersi alla pendenza. Passi lenti e precisi che ti danno sicurezza, nel mondo verticale e ghiacciato. Passi che hanno la forza di portarti in alto, tra le cime della tua esistenza. Passi tenaci come la caparbietà di due spiriti folli ma forti, come il loro abbraccio sulla vetta.

Quel ragazzo ce l’ha fatta ancora! Oggi è stata la scalata sua, più bella!