mercoledì 14 febbraio 2024

Una scala per il cielo

Sono un sognatore! E penso che, se c’è qualcosa che non vorrò mai smettere di fare, è esserlo. Ma io non sogno grandi cose, a me basta avere una casetta in campagna, un vigneto da coltivare e veder crescere i frutti del mio lavoro. Mi basta sentire il calore di un abbraccio e vedere il sorriso di un bambino, stagliarsi nel verde del paesaggio che ci circonda. Fondamentalmente ho già tutto per stare bene...ho la forza di volontà! Ho la serenità di pensare, di poter fare qualcosa, semplicemente. Sognare, fa bene al corpo e non soltanto alla mente. Sognare, ci fa muovere nell’immaginario spazio intorno a noi, e poco importa se non dovessimo realizzarli tutti, quei sogni. L’importante è tenerli un passo avanti, e seguirli, come si insegue una cosa bella, un buon profumo, un obiettivo che ci rende vivi. Alcuni sogni però, si realizzano quando è deciso il loro tempo, e i sogni di chi va in montagna, sono fatti della montagna stessa. Devo ammettere di averne realizzati tanti e, seppur modesti, li porto sempre nel mio cuore, come pagine importanti della mia vita. Con loro sono cresciuto, ho pianto e ho riso. Loro mi hanno schiaffeggiato e al contempo mi hanno coccolato. Penso di aver imparato a vivere il mio tempo e ad osservare con calma, il lento scorrere delle stagioni, della mia esistenza. Ogni tanto mi volto indietro e sembra, che in quell’illusorio avvicendarsi, di ricordi e vita passata, siano trascorsi mille anni o chissà. Poi guardo le mie mani e loro mi riportano al tempo giusto e a ciò che dovrò fare. Allora guardo le mie montagne ed inizio a sognare.
La Manfriana Ovest, già da molto tempo, era più che una visione e più volte, aveva rapito il mio sguardo, stimolando la mia fantasia. Così, un giorno di un inverno ormai passato, decidiamo di andare lì, dove quelle “due punte”, di quella immensa montagna incontrano il cielo, e dove, quei famosi sogni, diventano reali. La neve dura e compatta ci fa avanzare veloci e l’intera cresta dell’infinito sopra di noi, ci fa rivivere ricordi indelebili, di una nottata speciale trascorsa lassù. Cammino con lo sguardo su di essa, ancora un attimo, giusto quel tanto, in modo da nutrirmi e saziarmi, di quella carica emotiva prima di una grande salita; di lì a poco mi sarebbe servita davvero!

Dal bosco dei 7 faggi(Imma lo chiama il cane) comincia la salita vera. L’inizio del canalone è davanti a noi. Per un attimo ci fermiamo. Il rumore del nascere del vento ci trasporta con se, per esserne avvolti un attimo dopo. Circondati da quello stesso vento, ci sentiamo per un istante, storditi, ma Imma rompe gli indugi e avanza sulla neve ancora ghiacciata. Il mio sguardo però è rapito da un canale sulla sinistra, che, come una rampa, sale fino al cielo. Lei decide di prenderne un altro sulla destra. Ci ritroviamo così, soli con noi stessi, ad affrontare la nostra personale ascesa. Strano direi! Non ci era successo altre volte di dividerci, ma forse è giusto così. Ognuno di noi deve confrontarsi con il proprio io, confidandogli le proprie inquietudini e le proprie paure. Forse per trarne più forza o, semplicemente, per liberarsi di un peso che non ci appartiene. Sto vivendo un battito della mia vita che sembra un’eternità. Salgo, affondando i ramponi sul pendìo, che, a poco a poco, diventa sempre più ripido. Mi volto più volte. Non devo avere timore! Quell’ascesa è tutto ciò che desideravo. Sono dentro il canale, il pendìo si attenua quasi fosse una piazzola. Ma su quella via, che tutto sommato non sembrava così ripida, mi sento improvvisamente solo. Davanti a me, un muro inanimato di neve e ghiaccio, mi sbarra la strada. Dopo un paio di passi sento la pendenza aumentare sotto di me. Affondo su una neve molliccia. Impreco. Sono completamente isolato da tutto, e da lì, non posso assolutamente girami. Poi la mia mano, accompagnata da una forza istintiva, afferra alcune rocce in alto a sinistra. Le mie dita sentono il ruvido della pietra calcarea. È quella la mia via d’uscita. Affrontare la cornice di fronte sarebbe una pazzia. Le punte dei ramponi graffiano e si aggrappano su parti di roccia minuscole. Sento un urlo…Imma ce la fatta! Io sono ancora in quell’imbuto a divincolarmi, come mai in vita mia. Il movimento è preciso…niente distrazioni. Guardo un’ultima volta in basso. Pianto la piccozza sopra la cornice e passo sull’ultimo gradino. Sono fuori! Mi butto a terra sorridendo e silenziosamente mi libero dell’adrenalina accumulata, sentendo la frenesia del mio corpo. Guardo il cielo di un blu cobalto, guardo il Dolcedorme poco più in là, guardo Imma che è già sulla cima ad aspettarmi e soprattutto guardo da dove son salito. Lei mi viene incontro.

Sogno realizzato?” mi chiede.

Si, direi proprio di si.”

La vita và avanti proprio come il cammino di un uomo verso le montagne che lo aspettano. Per esaudire i sogni invece, a volte, bisogna affrontare strade ripide come una “scala che conduce al cielo”.







domenica 9 luglio 2023

Pensieri folli...in solitaria

A volte si sente l’estremo bisogno di cercarsi, di scoprire sé stessi e magari, per uno come me e altri folli in giro per il pianeta, la montagna può dar sfogo a tutto questo. Avevo l’esigenza di starmene un po’ a contatto con il mio spirito e di sentirne la sua vera essenza. Così, per il gusto di guardare ancora una volta la mia vita, riempirsi man mano, di ciò che ha davvero bisogno. Come un ragazzino, alla ricerca della sua grande avventura, decido di partire all’ultimo momento e, durante il viaggio in macchina, vengo pervaso da una sorta di autoconvinzione che la vita, la mia vita è fatta così: piena di emozioni forti che spesso arrivano all’improvviso, che mi fanno sussultare e mi fanno sorridere a quello che verrà. E allora succede che parto, a volte senza una meta precisa e senza programmi ma, con l’immensa voglia di assaporare intensamente, ogni attimo di quel viaggio; piccolo o grande che sia non ha importanza, l’importante è che si parti e che ci sia una bella musica di sottofondo ad accompagnarmi! Per sognare, per illudermi piacevolmente e sentirmi in un mondo surreale, nel quale io stesso, scrivo le gesta del protagonista. Per vivere e basta...semplicemente!

Così m’incammino serenamente e mi addentro nel bosco. Sembro un bambino eccitato, di fronte alla sua prima esperienza e, il fiato corto e pesante dell’inizio, si attenua sempre più, fino a divenire ritmico e lento. L’adrenalina, nell’attraversare quel tratto è tanta e, per l’ennesima volta, ho quella incredibile sensazione di sentirmi osservato. Sembra quasi che tutti stiano guardando me...un giovane uomo che è venuto a fargli visita. Ma stranamente non sento paura, anzi, mi sento accettato da quel mondo silenzioso e magico. Mi fermo. Faccio una sosta e gusto qualche zucchero per riprendermi. Le barrette energetiche che compravo un tempo, sono state sostituite da fichi secchi e qualche noce della mia campagna. Anche il cibo si è ridimensionato alla mia vera vita e la mia esistenza, è diventata più genuina. Sorrido. Il bosco mi sovrasta e la salita, si fa sempre più ripida. Ad un tratto mi volto e, di fronte a me, c’è lo spettacolo che avevo in mente di voler osservare. Penso che forse sto salendo verso il cielo. Ogni volta, in quel preciso punto, mi fermo e giro il mio sguardo verso l’infinito spazio che mi circonda. Immagino come se fossi arrivato lì ad occhi chiusi; come se una forza misteriosa mi avesse condotto in quel punto preciso, ad ammirare la meraviglia. Percorro l’ultimo tratto, con il calore in corpo e i brividi sulla pelle, attratto da qualcosa di straordinario, che non riesco a spiegare con le semplici parole di un uomo. Sono a casa. Cammino con il vento gelido che viene da ponente e che mi taglia il viso. Così, immerso nelle nubi vado avanti. Arrivo su quella cima, dove il cielo si tocca con un dito e dove i miei sogni, possono realizzarsi. Grido di gioia e sorrido, per aver trovato ad aspettarmi un piccolo cumulo di neve! In quello scenario che solo nelle più belle favole si può immaginare, ho il tempo di dedicare i miei pensieri a chi non c’è più e, in una corsa libera e selvaggia, percorro tutta la cresta Nord-Est, scendendo fino a valle. Corro libero nel mio mondo e sento il vento della montagna, che mi accarezza alla sua maniera. Mi lascio accompagnare da una sorta di musica frenetica che non mi fa più pensare a nulla, mentre con la mente, ripercorro ancora e ancora, quel tratto di cresta appena attraversato. Il mio cuore vibra. Cammino sulla neve per quasi l’intero tratto ed ho costantemente, la sensazione palpabile, della presenza di qualcuno al mio fianco. Qualche lupo ha preceduto il mio tragitto e il suo odore si sente benissimo. Caspita se si sente! Respiro intensamente quell’aroma e mi accorgo, che qualcosa in me ha preso vigore. Mi sento parte di quel che mi circonda e l’odore, il forte odore di quel bosco umido e di selvatico, mi pervade il corpo, tanto da farmi dimenticare i profumi di casa mia.

Sazio di emozioni torno a casa. La mia vita ha avuto ciò di cui aveva bisogno ma volte penso, che bisogna essere davvero un po’ folli per saper vivere!



lunedì 13 marzo 2023

Kalimère - i canti della passione

Qualcosa che non c'entri con la montagna deve pur esserci in questo blog ed è per questo, che vorrei parlarvi di alcuni canti, tra i più antichi, dell'etnia Arbёreshё nel periodo Pasquale. Si chiamano Kalimère (si legge Caglimère) e molti di questi, sono stati scritti centinaia di anni fa, da un sacerdode e poeta di San Giorgio Albanese: Giulio Variboba (1724-1788). Kalimera é una parola che deriva dal greco, di cui molti, ne conoscono il significato: buon giorno. Quindi, cantare la Kalimèra vuol dire annunciare un buon giorno, una buona novella. Non è sempre così però! Perchè molti di questi canti, sono davvero tristi e narrano la passione, la morte di Gesù Cristo, nonchè la sofferenza della Madonna nel momento della via Crucis. Ad ogni modo sono stati scritti e tramandati, per divulgare la religiosità anche in maniera diversa, in tempi, dove tante cose erano proibite. Quand'ero bambino le ascoltavo cantare da mia nonna Angiolina, quando, assieme alle sue "commari", si riuniva davanti al caminetto di casa sua o, in forma più solenne, in chiesa dopo la novena. Durante la processione del Venerdì Santo poi, venivano cantate a squarciagola e il corteo che stava dietro, ne era completamente assorto. Erano canti struggenti, che spesso, ci incutevano un sentimento di tristezza e una sorta di disagio emotivo, tale da farci fuggire da quei "lamenti", che si sentivano fin fuori la piazza. Ma quello era un modo per cantare, anche "quando non si poteva cantare". Nel periodo della quaresima infatti, tante cerimonie o feste in casa non si potevano fare e per giunta, non si avevano tutte le comodità che si hanno oggi. Il gusto di potersi riunire davanti ad un focolare, risultava essere la forma più semplice per poter condividere la devozione del momento, fatta anche di canti antichi, tramandati oralmente da generazione in generazione. Quelle litanie, hanno impregnato i miei ricordi in modo indelebile e soltanto molto tempo più tardi, ho iniziato a valorizzarle davvero. Il piacere nel cantarle, mi ha fatto scoprire quel gusto misterioso, di lasciarsi trasportare da una melodia così struggente ed altrettanto affascinante. E forse si, ho capito davvero, il perché di quel ritrovarsi e cantare assieme quando tante cose non si potevano fare. Oggi voglio farvele ascoltare, riprendendo alcune registrazioni fatte così per caso, mentre le provavamo assieme agli amici del gruppo canoro di Firmo. Oggi come quella sera è sempre un'emozione poterle riviverle...per far si, che si tramandino di generazione in generazione. Buon ascolto!

Questa è una piccola parte di quella che si chiama:

 Tёnjёtin ndaj dit - Nel giorno del giovedi




giovedì 16 febbraio 2023

Passi

 
Quando i “diavoli ballavano sul Pollino”, in un giorno di tempesta e di scalata invernale, il mio spirito si liberava nel vento e in quella neve spietata, che accecava i miei occhi. I miei sensi più profondi venivano rapiti da una forza misteriosa e invisibile ed io, mi sentivo piccolo ed incapace contro la forza della natura. Avanzavo a fatica, spinto dal solo istinto di portare in alto il mio corpo; sopraffatto e sfinito, da tutta quella imprevedibile energia intorno.

                                             

Sento che quasi niente è cambiato in me oggi, ma quando torno lassù, ho la sensazione di rivedere ancora quel ragazzo impaurito. Ogni volta lo prendo per mano e lo accompagno, nell’ascesa a quella stupenda montagna. Gli sussurro, nel punto più vicino alla sua anima, che tutto andrà bene. Che sarà la scalata più bella della sua vita. Che le emozioni che proverà, saranno indimenticabili ed uniche, ma che mai lo sazieranno, perché magnifico è ciò che sta facendo. Torno in quei posti, a rivivere il piacere estremo nel salire su quella cima che, dal pianoro sottostante, ti si staglia di fronte come un gigante che sfiora il cielo; orgogliosa ed elegante, che si mostra nel suo lato più impervio...nel suo lato più suggestivo. Quella figura ti ammalia, ti attrae inesorabilmente facendoti immaginare la sua ascesa. Poi il gigante scompare, accrescendo oltremodo in te, il desiderio di salirci. Vorresti solcare le sue vene nascoste per attingere ancora una volta alla sua linfa e poter così respirare, nel silenzio dell’inverno, quell’aria magica che, stranamente, ti infonde pace. 

                                            

L’aria è fredda. Tutto intorno a te è glaciale, ma la voglia di salire è tanta e non aspetti che, quell’attimo tanto atteso, arrivi da un momento all’altro.Il fiato esce denso dalla tua bocca e tu sei lì, semplicemente a godere, del gusto assoluto di scalare una montagna. In quel “bisogno di danzare” e di ascoltare quella musica così particolare e così inebriante.

Musica fatta di passi. Passi che raggiungono l’acuto piacere quando la terra si fa dura, si fa di ghiaccio. Passi impalpabili che lasciano quasi intatto il manto, come quei sogni, che non turbano le tenebre, ma le impregnano della loro magia. Passi che striano la neve compatta, incidendola per trattenersi alla pendenza. Passi lenti e precisi che ti danno sicurezza, nel mondo verticale e ghiacciato. Passi che hanno la forza di portarti in alto, tra le cime della tua esistenza. Passi tenaci come la caparbietà di due spiriti folli ma forti, come il loro abbraccio sulla vetta.

Quel ragazzo ce l’ha fatta ancora! Oggi è stata la scalata sua, più bella!



lunedì 2 gennaio 2023

L'alba di un nuovo anno

Vorrei iniziare dalla fine:

Apro gli occhi, guardo la sveglia. Sono l’una e mezza di pomeriggio. Mi sento confuso, stordito eppure riposato. Mi sembra così strano...non mi sveglio mai a quest’ora! Ho la strana sensazione di non ricordare niente di ciò che è successo…boh! Poi nella mente, pian piano, come trasportati da scie di vento infuocato, frammenti di sogni si uniscono, formando un quadro ben chiaro. Stanotte ho scalato il Dolcedorme ed è tutto vero, non ho sognato…è tutto incredibilmente vero! Ma oggi è un giorno speciale, è il primo dell’anno. Mi siedo davanti al camino acceso e lascio, che le belle sensazioni escano fuori e si fondino con quel gradevole calore. Sento le fiamme vive, accalorarmi gli occhi ed un'emozione vera e pulsante, mi fa quasi tremare. Guardo fuori e vedo le mie montagne. Nulla sarà più come prima.

La salita:

L’idea di compiere questa (non so bene come definirla) “folle-originale-impresa” era nata qualche anno fa, dalla mente del mio amico Max, ma più volte rimandata fino a ieri. Forse non eravamo ancora giunti, ad un livello di follia adeguato. Ma come spesso succede, è la montagna che chiama e noi, ammaliati da quel incredibile voce, non abbiamo saputo rinunciare. Mi sveglio da quel sonno profondo, avendo ancora negli occhi e nel cuore, le immagini che ho avuto la fortuna di vedere e di sentire sulla mia pelle. Avevamo appena finito il tratto roccioso più bello. Quello dove ci si arrampica prima del “campo base”. Sentivo in me una tale concentrazione, portarmi sempre più su…tra le rocce e la neve. Sembrava stessimo scalando qualcosa di incredibilmente bello. E poteva anche essere, la più alta e difficile montagna del mondo o chissà cos’altro, ma noi eravamo lì, a sognare ad occhi aperti nel buio della notte. Giganti di pietra e alberi imponenti mi appaiono durante l’ascesa, come figure che spuntano dal nulla. Li scavalco, li giro, li tocco con le mie mani, fino ad ottenere un appiglio sicuro che mi faccia salire. Come saette, fuggono nella notte, le luci delle nostre lampade frontali. A volte ad illuminar la strada, a volte a perdersi nell’abisso che ci circonda. La neve grida, dice Max. Ci sarà del ghiaccio ad attenderci nel canalone. Poi mi fermo. La nebbia che ci avvolgeva è svanita, portata via da chissà quale magia. Il mondo si popola di miliardi di luci e incredibili colori. Lo sguardo spazia fino a chissà quale paese lontano. È mezzanotte ed io, piango come un bambino, che urla al mondo intero, la sua gioia di vivere. Un senso di enorme gioia, in quell’istante, invade il mio spirito, come se il mondo intero mi si rivelasse in quei cinque minuti. Cinque minuti o forse un’eternità, nei quali ho intensamente vissuto la mia vita. Cinque minuti o una notte intera, nella quale ho respirato l’aria speciale di un giorno speciale, scalando assieme ai miei amici, “la via più bella” delle nostre amate montagne. Cinque minuti nei quali sono passati davanti ai miei occhi, tutti i visi delle persone a me care e che avrei voluto, fossero lì con me, in quel posto così strano, per vivere insieme quell’attimo di vera esistenza. Ci uniamo nuovamente sfiorandoci ed abbracciandoci, cercando di stare in equilibrio in quel mondo verticale e ghiacciato. Proseguiamo. Ci eravamo prefissati che non fosse stato importante, l’arrivo a mezzanotte e quindi niente corse! Tracce sulla neve ghiacciata ci aiutano nell’ascesa. Scopriremo poi con piacere, che erano degli amici del gruppo speleo di Morano, saliti il giorno prima. Vado avanti sentendo un vigore innato che si anima sempre più nel mio corpo. La tensione accumulata nei giorni passati è sparita totalmente ed adesso sono lì, a vivere a pieno quella scalata, diretta alla grande montagna. Qualcuno chiede quanto manca. La fatica si fa un po’ sentire. Max tranquillizza tutti. Vado avanti, con la concezione di stare passando nel canalone centrale ma non vedo granché. La salita si fa dura e la via si inerpica sempre di più. Un colpo di piccozza e un paio di passi. Ancora così fino alla fine. È davvero una goduria! Quella musica costante diventa quasi una melodia e il fiato esce dalla mia bocca, denso ed annebbia il mio sguardo. Poi il pendio si attenua. Ci ricompattiamo. Facciamo passare Max affinché sia il primo a coronare questo sogno. Le stelle in cielo ci guardano splendenti. Non c’è un soffio di vento ma fa un freddo cane. Vedo una luce che si ferma poi un’altra ancora e l'altra che si unisce a loro…siamo in cima! Il freddo punge ed il sonno e la stanchezza avanzano. “…Siamo i primi di quest’anno…” scriverò sul libro di vetta. Sono l’1:45 e dobbiamo assolutamente scendere, prima di trasformarci come i pesci surgelati di questi giorni di festa e banchetti. Mettiamo sotto i denti qualcosa, tra cui anche una fetta di zampone (ci farà venire una gran sete) e partiamo per la discesa. Ritorno per il canalone del faggio grosso, dove la neve per lunghi tratti è davvero tanta, fino a farci sprofondare. Per fortuna diventerà compatta e quasi ghiacciata per permetterci tranquillamente, di arrivare ad imboccare il sentiero comodamente. Siamo un po’ stanchi e la via fino alle macchine, sembra non finire mai. Qualche pausa e poi al sicuro da tutto e senza tempo, ci regaliamo un bel brindisi, accompagnato da una gustosa fetta di panettone. Arriviamo stremati e con il bagliore dell’alba sui nostri visi stanchi. Un’alba nuova, da primo dell’anno iniziato così, in un modo originale e straordinario. Penso che mai si cancelleranno questi attimi dal mio cuore e che come un inchiostro indelebile, hanno scritto una pagina importante della mia vita montanara.

Mi sveglio guardando il calendario. Sul primo giorno c’è scritto:

“le gioie più vive nascono dalle azioni più belle”.

È proprio vero! Buon anno a tutti!


Un ringraziamento a Carla Primavera, Luigi Vincitore e Massimo Gallo


mercoledì 21 dicembre 2022

Ghiaccio Infinito

Ogni tanto il mio sguardo viene catturato da qualche ciuffo d’erba che, gelata, esce allo scoperto. Il vento mi percuote con raffiche irregolari e ad ogni loro colpo mi sento stordito. Mi copro e avanzo lento, tra cornici di neve e rocce gelate, che il vento ha modellato, nel primo freddo di quest’anno. Fuori dalla notte, fuori da un tempo che si è fatto attendere un’eternità, siamo in cresta lungo la “via dell’infinito”. 

I miei compagni d’avventura mi seguono lungo questa sinuosa via, che porta ogni volta, ad un passo dal cielo e dai propri sogni. Mi muovo con calma, cercando di assaporare tutta l’aria e tutta l’atmosfera che regna intorno a me. Sento finalmente il mio corpo che si muove dopo un lungo riposo. Sento le mie membra rinascere e la mia anima, respirare e rinvigorirsi ad ogni passo, ad ogni soffio di vento gelido che mi sbatte in viso, ad ogni roccia che stringo e che il gelo ha fatto cambiare aspetto. Non c’è più sentiero, non c’è più via. La cresta con le sue incredibili forme è la sola strada da seguire. Non c’è più verde, non c’è più il campo di fiori dell’estate passata, con i suoi colori vivi e stupendi. Il gelo ha coperto tutto, sotto un manto bianco, da dove escono forme bizzarre e scheletri di rami ghiacciati. Anche i pini loricati sembrano spettri, che fuoriescono da quel mondo glaciale ed irreale. Mi infilo sotto la chioma gelata di uno di essi che mi appare all’improvviso, tra il candore e il freddo, come se fosse una grotta ghiacciata. I rami toccano quasi a terra e non sono fatti più di aghi grossi e resinosi ma di ghiaccio, che s’avvinghia in tutto il suo corpo. Quasi perdo l’equilibrio da tanta magnificenza mentre immortalo questo attimo magico. Respiro affannosamente ed intanto sento qualcosa, che dentro me, mi stringe e mi seduce. La montagna, con i suoi mille aspetti, con i suoi mille profumi e i suoi mille attimi da vivere, mi ha nuovamente rapito e inebriato; con la sua semplicità, con la sua magica veste d’inverno. Mi allontano con lo sguardo fisso, a cercare fino all’ultimo, un frammento di quell’albero e magari segretamente, cerco di immaginare quella visione ancora una volta ed una volta ancora.

                                     
Un timido sole si fa strada tra le nubi e la tormenta, che tutto il giorno ci ha fatto compagnia, sembra svanire all’improvviso, portata via da chissà quale magia. Siamo in cima! Sopra di noi soltanto il cielo azzurro ed un bianco spazio infinito ai nostri piedi.



Le foto sono dei partecipanti alle varie spedizioni fatte sulla cresta dell'infinito in inverno: 
Imma Camodeca, Roberto Angelo Motta, Giuseppe de Luca, Massimo Gallo, Eugenio Iannelli, Franco Formoso, Gabriele Percoco